sabato 13 ottobre 2012

45 anni fa, o 20...


Pubblico per voi una nota scritta dal mio amico Paolo Battista....

Il nove ottobre è appena trascorso. Ne ricordo uno, giusto vent'anni fa. Misi insieme le mie 1600 lire e corsi in edicola, all'immediata destra del portone di scuola, a comprare la mia copia di un giornale verdone che non esiste più, Cuore. Tra gli articoli, esilaranti, c'era un trafiletto, che ricordava un sacrificio, una morte. Erano passati venticinque anni dalla morte in Bolivia di un medico argentino, di un rivoluzionario cubano, la cui lezione di vita, i cui insegnamenti, oggi sembrano trovare un'eco ancora maggiore nella svolta politica del Sudamerica dal nuovo corso socialista. Con me, c'erano due persone, due Luca, cui voglio ancora bene. Avevamo tanti sogni allora, uno di questi era anche essere dei novelli Guevara. Credevamo, io lo credo ancora, che la felicità di uno non abbia senso a scapito di quella degli altri. E Cuore, con quel suo scarno trafiletto, ci ricordava che la vita poteva essere insegnamento, dedizione, coraggio, altruismo, in una parola: socialismo rivoluzionario.Sono passati venti anni, Cuore non c'è più, Luca neanche, ma il senso di ingiustizia, il sapore amaro della realtà, lo stupirsi di fronte alle circostanze che la vita ci pone, il desiderio di rivalsa e di giustizia, sono tutte sensazioni la cui esperienza è cresciuta, si è radicata, è diventata più intensa, più strutturata e consapevole. Tutto è cambiato nella mia vita, la mia generazione è forse ancora lì, in attesa tra l'edicola e la rosticceria. Alcuni, forse i migliori di noi, sono diventati professori universitari, altri sono rimasti solo universitari, ed in mezzo ci sono tanti voli interrotti, visi dimenticati, mani alzate in assemblea, tante domande. Tutto è cambiato, tutto è rimasto uguale. Vent'anni, quarantacinque dal 9 ottobre del 1967, vent'anni da quando chiesi per l'ennesima volta a mio padre di raccontarmi chi fosse il Che. Un giorno, figlio, quando non ci saranno più albe individuali e vendette private a separarci, te lo racconterò, di lui, delle rivoluzioni mai vissute, delle canzoni e delle ragazze mai avute, di chi è andato via, di chi è rimasto, della mia generazione. E tu della tua.

lunedì 1 ottobre 2012

L'Havana, il primo giorno tra umidità e Miguel.

"Racconto dedicato alla gentilezza e all'organizzazione dell' Agenzia Viaggi Milagro Travel Salerno" 


Arrivare all’aeroporto José Martì dell’Havana equivale a mettere il corpo in un forno.
Dopo 9 lunghe ore di viaggio, dal dormire con la coperta addosso si passa al sudare continuo. Lo spagnolo, che per ora è ancora tutto nel frasario, diventa un vociare di cui si comprendono solo alcune parole.
Armati di passaporto e valige (ormai scassate) superiamo i controlli e tutti gli addetti ci augurano una buona permanenza: “Bienvenido a Cuba!!” “Gracias”.
Cerchiamo il nostro taxi  ed una signora al nome Paolo Rossi si precipita a chiedere un autografo. Ci guardiamo divertiti e cominciamo già ad amare questo popolo.
Il viaggio in taxi dall’ aeroporto all’hotel è silenzioso e stanco.
L’albergo è centralissimo, restaurato e risalente all’epoca coloniale è un salto nel passato. Lo scrittoio sotto lo specchio e la sedia a dondolo mi portano subito ad immaginare scende di viaggiatori e dame
.
Ce ne andiamo a dormire, ma l’Havana è ancora sveglia e noi non la conosciamo. Solo la luce dell’alba ci farà scoprire il lento ricominciare della vita.
La piazza che si vede dal nostro balcone è piena di verde e freneticamente calpestata da lavoratori e tassisti. Ecco i taxi!

Sulla strada compaiono splendide auto anni 50’ dai colori fluorescenti e sgargianti. E’ un peccato che sia prestissimo, abbiamo smania di conoscere tutto e subito. Ed impareremo subito, dalla prima colazione, che il tempo a cuba è lento. Non c’è bisogno di correre da nessuna parte.
Vestiti da perfetti turisti e già sudati ci incamminiamo con l’intensione di perderci verso Plaza de la Revoluciòn. Non riusciamo a svoltare l’angolo che incontriamo Miguel.
Miguel è un giovane cubano dalla pelle nera, ma non troppo, che come tanti cubani arrotondano lo stipendio rendendosi guide della città. Paolo è tranquillo e sicuro e segue Miguel che ci porta a vedere l’Havana Centro. Io mi sento a disagio, non sono pronta a girare come una trottola per strade che non riesco nemmeno a gustare. E poi mi sento invasa, è deragliato il mio programma da Lonley Planet.
Il caldo aumenta ed io comincio ad ammalarmi di Cuba. Strade piene di vita, mercati di frutta e il Barrio Afrocubano. Murales ovunque, il piccolo principe nelle vasche da bagno, la Santeria. C’è tutta mamma Africa concentrata in 100 metri. E come sempre, dovunque mamma Africa vada si porta i suoi tamburi.  Strade con le buche e cucarachas, case che assomigliano tanto ai vasci napoletani.

L’odore dell’Havana  è diesel misto a spezie. In ogni angolo un cafè  ed un venditore ambulante di dolci fritti.
Arriviamo stravolti in Plaza de la Revoluciòn, Miguel ci lascia fare la visita da turisti. Saliamo sulla torre che domina la città. E l’Havana mi appare come una Babele bellissima.

 Intanto è quasi ora di pranzo, il cielo si è annuvolato e preannuncia la pioggia. La pioggia tropicale, quella violenta e veloce che porterà ancora tanta umidità. Scegliamo di bere un Mojito, il primo mojito e di rientrare in albergo.
Il Cafè in cui entriamo è, come tanti altri all’Havana, in un cortile. Alle pareti stampe e manifesti dei gruppi che suonano dal vivo e il cameriere stanco e annoiato. Due costanti dei cafè habaneri, la musica costantemente dal vivo e il cameriere stanco.
Dopo la sosta rinfrescante in Hotel, ci incontriamo con Miguel e sua figlia (una meravigliosa bimba di 8 anni, dai capelli ricci ricci e tutti intrecciati magistralmente) ed andiamo a pranzo.
Il Pranzo si svolge in una Paladar, abitazione per metà adibita a ristorante. E signori e signore..ecco a voi la prima langosta habanera. Trattasi di aragosta, intera, arrostita. Una delizia insieme all’arroz negro (riso con fagioli scuri).
Dopo il lauto pranzo ci salutiamo ed io e Paolo crolliamo sul letto, speranzosi in una meravigliosa notte habanera…
To be continued… (e scusate lo spagnolo maccheronico)

lunedì 17 settembre 2012

"Pronto! Sono la morta!"(un bell' incubo)


Clinica privata sull'oceano. Pavimenti giallo pastello, letti con lenzuola verdi ed una finestra scorrevole sul mare.Distesa sul letto sto dando l'ultimo saluto a mio marito, accompagnato da un amico. So di dover morire. Scaduta la settimana di degenza, mi faranno una siringa ed io potrò morire nel caldo abbraccio del mare.
Il saluto con Paolo è straziante. Non voglio morire e piango. Non bastano baci e carezze, non basta guardare ogni sua piccola ruga. Io voglio vivere con lui. Lui è così tranquillo e disperato. Glielo leggo negli occhi. Ultimo bacio. Deve rientrare, non può restare lì con me.
Si chiude la porta e le lacrime consumano il mio viso.
Con me c'è mia madre. Classica scena da mamma in ospedale. Valige, ricambi puliti, e preoccupazioni sul cibo. Ogni volta che mi chiede se ho mangiato, io penso: "Sono la morta,che mangio a fare?"
La clinica è controllata dall'esercito (perchè l'inconscio associa la paura della morte all'esercito?) un poliziotto armato fino ai denti entra nella stanza. Vuole perquisirmi non crede che io debba morire.Mi incazzo piangendo. Gli urlo addosso di tutto. "Stronzo che vuoi?devo morire, buttarmi in quel mare e morire. E tu vai cercando le prove nelle valige?Vaffanculo."
Intanto squilla il telefono. Riconosco il numero, una vecchia conoscenza. La mia compagna di banco al liceo.
"Pronto..Carlotta?"
"Prono..sono la morta!"
E così mentre spiego come funziona la cosa e sfoglio un vecchio album di foto si scarica la batteria del telefono.
Comincio a pianificare con mia madre come caricare in tempo i telefoni. Parlare con tutti è come sentirsi ancora vivi.
Ma il tempo non c'è, bussano. Entra un dottore, fa la puntura ed io silenziosamente piango. Apro la finestra scorrevole e a piedi nudi raggiungo l'oceano.

martedì 22 maggio 2012

Esseri complessi e dimenticati (piccola dedica alla parte bestiale che è in me)

Siamo esseri complessi. Assomigliamo a quegli antichi orologi pieni di rotelle ed ingranaggi.
Spesso siamo nascosti in una soffitta tra migliaia di cose dimenticate.Ci trovi arrugginiti ed impolverati, ma se trovi il modo di caricare la molla i nostri movimenti ti sorprenderanno.
La nostra magia risiede nel nostro essere segreti per molto tempo, dimenticati...
Ecco, immaginiamo che un bambino ci abbia in dono per natale, dopo qualche tempo ci riporrà in una scatola e ci abbandonerà in qualche angolo nascosto della sua casa. Saremo abbandonati, ma tra gli oggetti preziosi,quelli da custodire..Dopo anni qualche pronipote del bambino ci ritroverà in soffitta e noi seppur arrugginiti ricominceremo a muoverci. Le rotelle, ferme da tempo, si incastreranno di nuovo riprendendo a girare all'unisono.
Siamo esseri complessi, chiusi in una scatola dimenticata.
Siamo complessi e non siamo mai un Io unico. Siamo abitati da tanti noi stessi differenti. Durante la nostra vita diamo spazio solo ad alcune parti di noi. A qualcuno capita spesso di non conoscersi del tutto.
Reprimiamo le parti più vere ed istintive di noi e forse è per quello che abbiamo la sensazione che ci manchi qualcosa.
Peggio è,quando, come in un cielo nuvoloso squarciato dal sole, scopriamo in qualche nostro anfratto cose inaspettate. Gestire ciò che non si conosce ma che ci appartiene è compito troppo arduo per piccoli esseri come noi. E così, crediamo semplicemente di poter mettere un masso davanti l'anfratto e far sparire quello che abbiamo visto.C'è da dire che  ciò che ci appare all'improvviso è qualcosa di così istintivo ed atavico, bestiale che non basterà nessuna barriera e nessuna repressione. Fatta uscire la belva dalla gabbia richiudercela la farà solo infuriare, scalciare, ringhiare.
Ed ecco che ci cambia l'umore all'improvviso, che ci accorgiamo di avere una luce negli occhi che non ci appartiene, che diciamo di essere prigionieri del nostro corpo. Non siamo noi è la belva che abbiamo liberato solo per una volta e poi abbiamo rinchiuso. Vuole uscire e con i suoi calci ci ricorda che il cervello e i suoi ragionamenti, che il cuore e i suoi sentimenti, non possono vincere sulle viscere sempre.
Siamo esseri complessi. Fatti di cervello, cuore e viscere ed è raro che tutto si muova in armonia.




giovedì 15 marzo 2012

I segni del buio e del silenzio


Il buio degli occhi chiusi.
Rannicchiata e tremante incapace di vedere ciò che accade intorno riesco a vedere cosa c’è dentro.
Lascio che il corpo lo porti fuori con i suoi tremori e con le lacrime.

Il silenzio.
Il silenzio invade la stanza ed invade il mio corpo come  un abbraccio immenso.
Mi lascio avvolgere ed anche la mente gode del fermarsi dei pensieri.

Il rumore.
Il rumore, quel suono, mi sveglia.
Ad occhi aperti e ad orecchie tese la realtà muta.

La nudità.
Il corpo nudo alla luce si accorge della sua rappresentazione.
Sparisce la pace che egli aveva conosciuto nell’inquietudine del buio e del silenzio.

I vestiti.
Alla luce c’è bisogno di coprirsi. Nel rumore c’è bisogno di coprirsi.
Rivesto il mio corpo, ma la mente rimane nuda abbracciata al silenzio.

I segni.
Il corpo porta i segni del tempo..questa volta anche del buio e del silenzio.

sabato 11 febbraio 2012

Un Bukowski di seconda mano


Sogni sporchi di fumo e vino.  Sogni Blow up.
Sogni da eterni ventenni di un’era che non c’è più.
Stanze dismesse in affitto, sensi alterati e promiscuità.
Sogni da eterni ribelli e vagabondi.
Menti affamate, parole scomposte e nudità.
Sogni di angoscia e di fuggitivi.
Sogni da un libro letto a metà.

giovedì 2 febbraio 2012

Roba precaria


Donna. 27 anni. Fuori dalla monotonia del posto fisso. E fuori dal lavoro.
Tutto ciò di cui parlano oggi al tg non è nulla di nuovo, ma fa male lo stesso. E’ come ricevere uno schiaffo in pieno volto.
Partiamo dal principio e come insegnavano le donne un tempo    
“a partire da me”.
Ho 27 anni, vivo nel Sud d’Italia e sono una donna, si sarebbe detto un tempo “in età da marito”.
Mi sono laureata nel 2008 e sono stata costretta (dalle riforme varie) ad iscrivermi per altri due anni all’università, due anni che intanto sono diventati quattro e così secondo Martone “sarò una sfigata”.
Questi anni non li ho persi  tra feste e divani, e se pure fosse stato così ne sarei fiera, la vita non è solo 
produci- consuma- crepa.
Questi anni li ho passati cercando lavoro, perché a 27 anni non si può essere più studenti a vita, perché vorresti evolvere e progettare. Dopo un anno di servizio civile a 433,17 euro al mese, i lavori sono stati i più vari, pagati miseramente e dopo tempi lunghissimi in genere con formule contrattuali non proprio limpide e continuative. Oggi sono costretta ad aprire la partita iva, ad entrare secondo la mente bacata dei banchieri che ci controllano, nell’impresa individuale. In realtà sono una donna e fare un contratto costa troppo. Così sono precaria, ogni giorno  mi formo, mi ingegno nel migliorare, ma i risultati tardano ad arrivare. Intanto però le bollette e i costi della vita sono puntuali.
I mesi passano tra settimane del tutto improduttive e frustranti e settimane cariche di impegni che 48 ore al giorno non basterebbero.
E’ doloroso dover ribadire cose che speravo superate. E’ doloroso dover ancora gridare all’eguaglianza tra uomo e donna, quando speravo nella mia liberazione.
Ed è doloroso sentirsi in colpa o nostalgica nel pensare al dover rivendicare i propri diritti.
Si perché la verità è che ci hanno tanto assillato e tanto immiserito che la forza per rivendicare, pretendere e prendere ciò che è nostro si è affievolita.
E così stiamo qui tra un cambio di stato di facebook o un tweet a lamentarci delle battute di un vecchio banchiere o di un giovane raccomandato.
Tempo fa ragionavo  di futuro con mia nonna, donna di 83 anni e molto saggia, mentre mi lamentavo della mia condizione, dell’impossibilità di prendere una casa in affitto o di fare una qualsiasi altra cosa, lei mi disse: “ nella vita ci vuole coraggio, noi facevamo i figli sotto le bombe, la nostra precarietà era questione di ore”.
Cara nonna hai ragione, e ci ho pensato tanto, forse se la mia precarietà fosse questione di ore avrei coraggio e progetterei tutto nonostante le bombe. Ma la mia precarietà prevede bombe intelligenti che esplodono solo dopo lunghi periodi e non sei mai sicura se contengono proiettili o fiori e così attendi incerta sul da farsi.